Uno dei miei desideri di sempre è legato ai viaggi. Mi guardo attorno e vedo che c’è così tanto da scoprire, conoscere, sperimentare, che resto suggestionata all’idea di esplorare nuovi territori, usi, costumi, climi, ambienti talvolta completamente diversi dal mio. Sono curiosa di conoscere le molte forme nelle quali la terra si manifesta (il deserto per esempio piuttosto che le foreste), in quanti e quali modi la gente può vivere (grattacieli piuttosto che dimore modestissime), attratta dall’idea di osservare e sperimentare cosa ci sia al di fuori della porta non solo di casa mia ma soprattutto del mio Paese.
Malgrado queste premesse tuttavia, non vanto un lungimirante passato da globe trotter: certamente non ho vissuto fino ad ora segregata entro i margini della Pianura Padana in cui vivo, ma altrettanto certamente la maggior parte dei confini extraeuropei sono per me zone tuttora ancora da esplorare ampiamente. Vuoi per i figli piccoli, vuoi per il lavoro, vuoi per tutta una serie di condizionamenti (per lo più familiari) cui ho sempre concesso la meglio, in tutti questi anni ho permesso che la mia passione restasse dormiente e fatta eccezione per un paio di volte, ho sempre limitato il mio raggio d’azione (ed esplorazione) ai dintorni più prossimi.
Questo però accadeva fino a qualche mese fà; perché poi è successo che piano piano negli anni sono cambiata, e quindi anche il modo che avevo di vedere le cose invariabilmente è cambiato con me. I miei figli per esempio: per quanto cresciuti e molto più indipendenti di quanto non fossero anni addietro, sono comunque tuttora due bambini di 5 anni (Isabella) ed 8 anni (Tommaso), ed è ovvio che non tutte le tipologie di viaggio per me desiderabili lo siano altrettanto anche per loro (così da permetterci di fare qualsiasi viaggio ogni volta insieme). Tanto infinitamente si sono divertiti l’anno scorso a Disneyland Paris tra giochi, giostre e ritmi giornalieri assolutamente a loro uso e consumo, tanto certamente avrebbero pianto lacrime amare se li avessi portati con me nel mio recente viaggio a New York, scandito da tour quotidiani senza sosta ed escursioni no-stop per oltre 12 ore nell’arco di ogni giornata (peraltro con lo sfavore di temperature ampiamente sotto lo zero e venti gelidi – a questo proposito, come dimenticare il ciclista incrociato sul ponte di Brooklyn con tanto di barba ghiacciata?!).
E cammin facendo, negli anni ho fatto tesoro anche di una serie di convinzioni che hanno portato grandi metamorfosi nel modo di intendere e praticare il mio ruolo in quanto genitore (ripetendo quanto detto poc’anzi, pian piano appunto…sono cambiata!). Ovvero: io non credo che Isabella e Tommaso siano miei (in termini di possesso ed esclusività) né tantomeno credo siano per me; credo piuttosto siano della vita (la loro, soprattutto) e del mondo intero. Sono arrivati a me anche attraverso me, ma non sono miei; ho onore e privilegio di poterne avere responsabilmente cura e attenzione, adoperandomi al mio meglio in modo da essere per loro una guida ed un riferimento ma appunto, non sono a me e per me quanto piuttosto entrambi della vita intera nel suo complesso. Tommaso e Isabella hanno diritto e dovere di crescere emotivamente indipendenti e sicuri di sè, e di vivere pienamente nella direzione in cui le loro passioni ed inclinazioni li porteranno; se li credessi miei finirei per condizionarli alle mie esigenze, aspirazione e debolezze, e inevitabilmente li condurrei alla mia di vita smettendo perciò di incoraggiarli alla loro.
Per meglio spiegare, cito una frase che spesso richiamo nei miei corsi sul rapporto genitori-figli perché rende perfettamente il senso di quello che voglio intendere:
I buoni genitori danno ai figli radici e ali. Radici per sapere doc’è casa loro, ali per volar via e mettere in pratica ciò che è stato loro insegnato. – Jonas Salk
Quello che faccio nei confronti dei miei figli, e che sto cercando di continuare a fare giorno dopo giorno, è offrire una base solida di affetto e amore che affondi radici profonde all’interno della loro mente e del loro cuore, in modo che sappiano guardare al mondo immergendosi in esso con fiducia e slancio, perché certi del riferimento stabile della loro famiglia e soprattutto dei loro genitori. E la prima persona con cui mi è stato necessario lavorare per generare in loro questo tipo di indipendenza affettiva ed emotiva, ovviamente sono stata io.
Ecco perché quest’anno ho ritenuto fosse tempo di partire comunque e con assoluta serenità per il mio viaggio anche senza di loro, ed ecco perché sempre quest’anno Tommaso ha deciso serenamente di passare il suo primo weekend a casa di un amico (fermandosi a dormire per la notte) malgrado in quel contesto mancassero riferimenti a lui noti e familiari.
Perché anno dopo anno, sia io che loro stiamo affondando radici ed aprendo ali. Radici per sapere dov’è casa nostra, e ali per volar via con un bagaglio ricco di tesori ciascuno dentro di sè. Perché ciascuno di noi (sia io da genitore che loro da figli) raccoglie continuamente occasioni per imparare…e per crescere.
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