Si narra di un giovane che vivesse in perenne avversità dei suoi nemici e di quanti riteneva gli mancassero di rispetto e giusta considerazione. In cuor suo sentiva l’intimo bisogno di confermare costantemente la sua forza, i suoi meriti, e la lungimiranza del suo intendere; pertanto, ogni volta che qualcuno gli si rivolgeva in modi che giudicava irriverenti e poco educati, senza esitazione esibiva la tempra del suo animo reagendo con grande rabbia e collera. “Per un uomo, godere di rispetto e degna considerazione è vitale quanto un incedere fiero ed eretto. Il perdono è un’arte che nè apprezzo nè stimo, perché conduce alla debolezza dello spirito ed alla rassegnazione di se stessi; l’ira e la vendetta sono arti invece che perseguo e coltivo, perché certamente condurranno il mio nome alla dignità ed al rispetto che merita“.
Queste erano le parole e l’intento cui prestava fedele ascolto quotidianamente, e questo il credo che celebrava nella sua vita facendosi attentissimo ed intransigente nel cogliere (e rivendicare) anche il minimo sopruso che gli paresse di aver subito. Inevitabilmente il giovane crebbe uomo prigioniero della sua animosità e dei suoi rancori, e stanco di una collera che stava logorando sempre più non solo il suo spirito ma tangibilmente anche il suo corpo, decise di rivolgersi ad un uomo del suo villaggio molto vecchio e anche molto molto saggio, per riceverne consiglio ed insegnamento.
Il saggio fece accomodare l’uomo nella sua dimora, e ascoltatolo con attenzione e silenzio, si alzò offrendogli un cesto di patate ed un sacco vuoto. “Per ciò che tu chiedi – rispose il saggio, ti affido un compito. Pensa a tutte le persone che ritieni recentemente ti abbiano riservato un torto, persone che hai deciso di non perdonare e per le quali custodisci in cuor tuo rabbia e rancore. Per ciascuna di queste persone scrivine il nome su una patata, e dopo che hai fatto ciò infila ogni patata nel sacco che ti ho appena offerto. Per tutta la prossima settimana, abbi cura di portare con te questo sacco ovunque andrai. Tornerai da me al termine di questi sette giorni, e non un giorno prima“.
L’uomo fece come gli era stato detto, e mise nel sacco quante patate ritenne necessario; infine salutò il saggio e si avviò perplesso verso la strada da cui era venuto. Malgrado qualche titubanza, era certo non avrebbe avuto difficoltà a svolgere il compito che gli era stato assegnato, dato che il peso che stava trasportando non gli pareva per nulla impegnativo. Così in effetti fu per alcuni giorni, fino a quando suo malgrado dovette ricredersi: i muscoli iniziarono ad essere dolenti e sofferenti, e cosa ancor più sgradevole, le patate avevano preso a marcire e puzzare rendendo il compito che gli era stato assegnato ingrato e debilitante, oltre che faticoso.
Finalmente giunse tempo di fare ritorno dal vecchio saggio, che chiese all’uomo di essere aggiornato sull’esperienza di quella settimana appena trascorsa. “Dunque dimmi: cos’hai appreso in questi sette giorni che ancora non so?“, chiese il saggio. “Maestro, credo di aver capito ciò che con le tue parole non mi sarebbe stato permesso comprendere. Per tutti questi giorni appena trascorsi, in realtà non stavo portando con me solo un sacco di patate; in realtà, stavo portando con me il peso dei miei rancori ed il fardello dei miei nemici. Ed al pari delle patate contenute in questo sacco, anche il mio corpo ed il mio animo nel tempo e negli anni sono cambiati maturando al peggio di se stessi. Il rancore toglie energie, ed affanna il respiro; la rabbia debilita il fisico, e fa marcire le ricchezze di ogni cuore. Il rancore non conduce l’uomo alla sua forza, bensì alla sua debolezza più profonda perché ne minaccia progressivamente spirito, mente e corpo. Ed al pari del contenuto marcio di questo sacco, anche la mia collera ora è divenuta per me un peso ingrato con cui convivere e procedere nella vita”.
Perdonare non significa certamente condonare o rendersi dimentichi dell’accaduto, quando più avere coraggio, forza e volontà di trarre insegnamento dalle situazioni per elevarsi rispetto ad esse e riuscire ad andarne oltre. Perdonare significa adoperarsi in un’ottica generativa per la propria crescita ed il proprio sviluppo, smettendo di essere preda essenzialmente delle proprie debolezze, insicurezze e del proprio risentimento. Perdonare significa riconoscere priorità a se stessi ed al proprio benessere, significa riconoscere valore prima di tutto alla salute del proprio corpo e della propria esistenza, significa donare per sè (per-dono, ovvero un dono che offriamo prima di tutto a noi stessi).
Molti credono che rancore ed ostilità siano la migliore medicina da somministrare ai propri “nemici”; in realtà, rancore ed ostilità sono la migliore medicina da somministrare a se stessi per inaridire mente, animo e corpo; non a caso, come scrive Louise Hay, rancore fa rima con tumore… E per quanti ancora si ostinino a pensare in termini vendicativi e ritorsivi, lungimirante il consiglio che segue:
Perdona sempre i tuoi nemici. Nulla li fa arrabbiare di più.
– Oscar Wilde
Lascia un tuo commento al post: mi fa molto piacere sapere cosa ne pensi, grazie!