In realtà oggi avevo programmato di scrivere tutt’altro articolo rispetto a quello che leggerete nelle righe a seguire (ero rimasta colpita da una bellissima foto trovata per caso sul web e pensavo di argomentare proprio da quella suggestione), fino a quando venerdì sera ho assistito ad una vicenda molto interessante che in quanto mamma mi ha offerto un valido spunto per riflettere con voi in tema di educazione e di rapporto genitori-figli.
La scorsa settimana io e 2 miei carissimi amici che non rivedevo da tempo abbiamo organizzato di ritrovarci per cena, e con l’idea di fare una chiacchierata in tranquillità telefoniamo ad un ristoratore premettendo di riservarci un tavolo nella zona meno caotica e rumorosa del locale. E così in effetti è stato, perché raggiunta l’Osteria ci siamo accomodati in una gradevole e piccola sala con 4 tavoli in tutto, di cui solo 2 occupati: 1 ovviamente era il tavolo destinato a noi tre, l’altro invece era impegnato da due signore che terminavano la cena in compagnia delle rispettive figlie (quest’ultime di 5 – 6 anni circa). Tempo 10 minuti da che mi ero seduta e scambiavo qualche parola con i miei amici, le due bambine si alzano e prendendo distanza l’una rispetto all’altra iniziano a giocare con un pupazzetto che a turno si lanciano di mano in mano (mentre le mamme nel frattempo continuano a conversare senza apparentemente badare a nulla di tutto ciò).
Come premesso l’ambiente in cui ci trovavamo era piccolo e modesto, e inevitabilmente una delle due bambine finisce per giocare a grande prossimità rispetto al mio tavolo; siccome ogni lancio era accompagnato da parte loro da una serie di versi concitati e urletti di circostanza, rapidamente io e i mie amici ci troviamo nella condizione di non capire quello che diciamo perché disturbati dal rumore complessivo che si andava creando nella sala tramite le bimbe e il loro gioco. Le due mamme, nel frattempo, sempre a mangiare e conversare tra di loro senza un minimo cenno nella nostra direzione.
Rumore a parte, tempo 5 minuti io e i miei amici ci siamo ritrovati senza saperlo in piena azione di gioco delle bimbe costretti a nostra volta a rilanciare il peluche, dopo che una prima volta è finito sulla testa della mia amica, una seconda volta tra oliera e formaggiera in cima al nostro tavolo, una terza volta tra capo e collo della sottoscritta. E dato che le due mamme, ancora una volta, restavano come sempre a mangiare e conversare tra di loro senza fare il benché minimo cenno nella nostra direzione, sono intervenuta personalmente e ho invitato le bambine ad allontanarsi prestando maggiore cautela al nostro tavolo (già vedevo il peluche in rovinosa caduta libera nella polenta che aspettavamo). A quel punto, e solo a quel punto, ho sentito la voce di una delle due mamme che ha apostrofato entrambe le bambine con una frase del tipo: “…che figura ci avete fatto fare!”.
E in quel preciso istante ho avuto l’impressione di non capire: chi è che insegna cosa? a chi spetta il compito di educare? e in quanto genitore, come puoi aspettarti che tua figlia presti attenzione all’ambiente se tu per prima mamma dai esempio di fare esattamente il contrario? “Che figura ci avete fatto fare” andava sì detto, ma da parte delle bambine verso le loro mamme e non il contrario. “Che figura mamma mi hai fatto fare per non avermi insegnato un comportamento più educato e rispettoso nei confronti delle altre persone”. I figli apprendono per modellamento, ovvero imitazione di gesti, azioni e quant’altro osservino fare da figure significative della loro vita (vedi quindi i genitori); e al di là delle parole, la maniera più potente per insegnare loro qualcosa è proprio quella di rappresentarla noi per primi nei fatti, in modo da essere coerenti e congruenti con ciò che predichiamo.
Osservate i vostri figli, e siate consapevoli che in una certa misura state anche osservando proprio voi stessi. Di questo aspetto ne parlo più in generale anche nel mio Corso 4You quando in tema di relazioni introduco il concetto che gli altri siano il nostro specchio; se siamo in grado di notare nelle altre persone certi aspetti, certe caratteristiche (piacevoli o meno che siano) è perchè in qualche misura abbiamo familiarità con quegli stessi aspetti e caratteristiche che quindi…stiamo per ciò stesso ri-conoscendo! Vi faccio un semplice esempio: osservate quanto segue 우호적인. Sono certa vi sembreranno scarabocchi senza senso, a meno che conosciate il coreano e quindi ne ri-conosciate i grafismi e la lingua!
La chiave di un uomo si trova negli altri: è il contatto con il prossimo quello che ci illumina su noi stessi. Paul Claudel, Memorie improvvisate, 1954
Per concludere questa frase di Paul Claudel, con l’intento di ricordare che il prossimo sono anche i nostri figli e che ogni contatto con loro è luce che volgiamo proprio su noi stessi.
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