Domenica 16 Dicembre 2012 è stato letto in Chiesa il Vangelo secondo Luca 3:1-14; di seguito vi riporto un paio di passaggi per commentarli e fare insieme alcune riflessioni:
Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto.
…e contentatevi delle vostre paghe.
Interessante l’omelia del Parroco, che dall’incipit del Vangelo ha avviato un discorso inaspettatamente in argomento con il tema della felicità. Non vi nascondo che quando dal pulpito ho sentito arrivare parole come appunto felicità, ho immediatamente rizzato le antenne curiosa di ascoltare l’approccio religioso all’argomento. Personalmente ho già letto alcuni libri sul tema, ho condotto un minicorso gratuito dal titolo Come imparare ad essere felici – tratto dal libro “Mi merito il meglio” di Lucia Giovannini, ed ho anche scritto un post ad hoc sul mio blog: in proposito quindi una certa idea l’ho già elaborata, ed è sulla base di questi presupposti che ho ascoltato l’omelia.
- Secondo il parroco innanzi tutto la felicità è una meta per cui ci si deve adoperare, quindi: è un falso mito credere sia frutto della buona sorte piuttosto che di un colpo di fortuna, ed è piuttosto necessario (oltre che doveroso) che ognuno di noi si attivi in prima persona con coscienza e conoscenza.
Mi viene in mente l’adagio “aiutati che il ciel t’aiuta”, e sono assolutamente d’accordo con la premessa di cui sopra: essere felici è una questione di scelte e comportamenti finalizzati al proprio benessere emotivo, e come per qualsiasi traguardo anche in questo caso occorrono impegno, dedizione, conoscenza strategica e costanza. In altre parole, occorre darsi da fare.
- Proseguendo, il parroco indica una strada…un comportamento per percorrere la via della felicità che è racchiuso in questo passo del Vangelo: “Chi ha due tuniche ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto” ovvero, condivisione.
Anche in questo caso, non posso che essere d’accordo. Un antico proverbio cinese, recita: “Se vuoi la felicità per un’ora, fatti una dormita. Se vuoi la felicità per un giorno, vai a pescare. Se vuoi la felicità per un mese, sposati. Se vuoi la felicità per un anno, eredita una fortuna. Se vuoi la felicità per la vita, aiuta gli altri”. Siamo esseri relazionali nati per contribuire, per offrire attraverso i nostri talenti e il nostro animo, ed in questo modo arricchire la vita intera.
Cosa stai facendo per gli altri, chiedeva M.L.King?
Sonja Lyubomirsky, psicologa e ricercatrice presso l’università della California, anni fa esortò un gruppo di soggetti a compiere 5 atti di gentilezza la settimana per 6 settimane. Si trattava di gesti semplici come scrivere un biglietto di ringraziamento, aiutare un amico o donare il sangue: gesti semplici che fecero registrare in alcuni dei partecipanti un aumento delle felicità fino al 40 per cento! E nel quotidiano delle nostre esperienze, non è forse più gratificante offrire un regalo… anziché riceverlo?
- Infine, dal Vangelo un’ulteriore indicazione alla felicità attraverso queste parole: “…e contentatevi delle vostre paghe” ovvero, accontentatevi di ciò che avete (siate paghi del lavoro che avete, fatevelo bastare e non chiedete di più – aggiungerà poi il parroco).
Su quest’ultimo passaggio mi sento di dissentire e di riformulare il concetto, perché personalmente credo che chi si accontenti non solo goda poco, ma sia autorizzato a chiamarsi lontano dalle proprie aspirazioni e dai propri obiettivi. Accontentarsi per me significa esimersi dal chiedere a se stessi ed alla vita, e per quale motivo dovrei evitare di orientarmi verso qualcosa di diverso rispetto a quanto già ho (per esempio anche un lavoro)? Per quale motivo dovrei mancare di pormi nuovi traguardi, e accontentarmi dei confini di ciò che già possiedo e beneficio? Questa secondo me non è la ricetta per la felicità, quanto piuttosto le premesse di una progressiva ed inesorabile deresponsabilizzazione.
Di contro, il percorso ideale credo dipenda dalla capacità di lavorare sinergicamente su due fronti: in primis esercitare gratitudine per ciò che si possiede, e successivamente agire lasciando andare ogni aspettativa. Esprimere gratitudine per tutto ciò che nella vita si possiede porta ad essere più ottimisti verso il futuro, rende fisicamente più sani e permette di essere più felici (The Psychology of Gratitude, di R. Emmons e M. McCullough). È un metodo dall’efficacia scientificamente dimostrata, e per constatarlo personalmente vi è sufficiente prendere foglio – carta – penna, pensare per esempio all’ultima settimana trascorsa e per ogni giorno della settimana fare un elenco degli eventi gradevoli. Provare…per credere!
Quanto al secondo aspetto (agire lasciando andare ogni aspettativa), significa godere del viaggio indipendentemente dal traguardo e dal suo raggiungimento; significa farsi paghi dell’esperienza, consapevoli che l’insegnamento e la ricchezza sono racchiusi proprio in essa. Significa stare alla larga dal rischio di mettere la propria vita in stallo (condizionandola a qualsivoglia obiettivo) perchè il piacere ed il beneficio sono tutti racchiusi nel nostro agire quotidianamente ispirato. Significa saper progettare e programmare mantenendosi sereni dinanzi alla meta, consapevoli che ogni destinazione è invariabilmente anche nuovo punto di partenza per ulteriori traguardi.
Significa NON accontentarsi e piuttosto apprendere come e cosa chiedere. Significa mantenere salde le proprie aspirazioni evitando il rischio di restarne sedotti e intrappolati. Significa dare coraggio alla propria voce, al proprio cuore ed alla propria mente, grati per quello che già si possiede e grati per quello che ancora verrà – a prescindere dalle aspettative personali.
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